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Lore Magic Core Set 2019: Episodio 2 Stampa E-mail
Venerdì 20 Luglio 2018
lore 2_m19Chronicle of Bolas: The First Lesson 20/06/2018 by Kate Elliott
A cura di ArabicLawrence

<<< Episodio I : I Gemelli

Naiva si accovacciò sopra una protuberanza di roccia, guardandosi alle spalle, verso le montagne. Il loro gruppo di caccia aveva finalmente raggiunto un altopiano elevato il giorno precedente, dopo giorni e giorni di viaggio attraverso il paesaggio scosceso ed insidioso. Quando Naiva era bambina, Nonna aveva portato lei e Baishya al grande altopiano. Allora, molti anni prima, le montagne erano ricoperte di fitta neve e possenti ghiacciai. Ora la coltre di neve era a chiazze, e scopriva parti di roccia. La valanga che aveva quasi ucciso lei e Baishya sul Picco Eterno era solo una delle tante che spogliava le vette un tempo gelate dalla neve e dal ghiaccio. Il mondo stava cambiando. Bisognava cambiare insieme ad esso per non essere spazzato via.

Perlustrò il cielo in cerca di un qualunque segno della presenza del discendente di Atarka che li stava seguendo da svariati giorni, ma era scomparso. Quando si voltò per posare di nuovo lo sguardo sull’altopiano, trattenne il respiro. Molto lontano, un lungo drago sfrecciò e virò, poi si innalzò nuovamente con una grazia talmente sinuosa e naturale che nessun uccello avrebbe mai potuto copiare.

Portò lo sguardo in basso, all’interno di una buca circondata da rocce dove gli altri cacciatori stavano arrotolando le pelli sotto le quali si erano riparati durante la notte.

“Bai, vieni a vedere.”

Sua sorella gemella si arrampicò fino ad arrivare al suo fianco, strizzando gli occhi contro la luce del sole nascente. “Non è uno della covata di Atarka. È troppo lungo e slanciato.”

“Se è davvero così, allora non dovrebbe cacciare nei territori di Atarka. Perché ci impiegano così tanto a prepararsi?” Posò nuovamente lo sguardo in basso, dove i cacciatori stavano preparando le proprie armi e le borse per la marcia mattutina. Tutti indossavano dei cappotti di cuoio pesante tranne il più alto tra loro, l’orco ex seguace di Kolaghan di nome Fec, con la sua cresta ingrigita di spessi capelli neri. A differenza degli altri, non indossava niente sul busto: solamente una pesante gonna di strisce di cuoio intrecciate. Due spade erano appese a croce sulla sua schiena a macchie, e maneggiava un robusto bastone per camminare nella sua mano sinistra. “Mi sa che è quell’orco che ci sta rallentando. Non capisco perché dobbiamo proprio tenerlo con noi.”

“Nonna ha le sue ragioni per tutto ciò che fa. Ora zitta. Sta arrivando.”

Yasova si issò di fianco a loro, inginocchiandosi con le ragazze. Il grande altopiano si stendeva di fronte a loro, così vasto e brullo da sembrare che la pelle della terra non avesse abbastanza copertura per proteggersi. Una fila disordinata di alberi secchi segnava il corso di un ruscello che serpeggiava per l’altopiano. Senza di esso, lo spoglio panorama sarebbe stato formato solamente da tratti erbosi, conche paludose, pozzanghere di acqua ghiacciata sciolta da sporadici mucchietti di neve e protuberanze di nuda roccia come quella su cui si trovavano in quel momento, che sbucava dall’erba in mezzo ad un cumulo di macigni. Il vento non cessava mai, increspando l’erba e smuovendo i pochi capelli non raccolti di Naiva.

“Vedi quel drago?” Naiva indicò ad est.

“Certo che lo vedo.” Nonna si coprì gli occhi per eliminare il riflesso. “Quello è un drago Ojutai. È curioso trovarne uno qui, in territorio Atarka, e non è mai una buona cosa quando accadono fatti curiosi.”

“Può essere finito qui per sbaglio.”

“Un discendente di Ojutai? No. Sono troppo intelligenti per compiere degli errori.”

“I draghi possono essere intelligenti e non solamente affamati?”

“Non eri attenta durante le lezioni di storia di Nonna?” Baishya diede una gomitata nelle costole alla gemella, anche se la spessa tunica di cuoio che indossava Naiva assorbì la quasi totalità dell’impatto, e il colpo non la fece nemmeno vacillare. “Ojutai è un grande studioso. Tutti i suoi discendenti sono studiosi minori.”

“Studiosi della storia dei draghi, non di quella degli uomini”, disse Nonna, con una contrazione di disapprovazione sulle labbra. “Lui iniziò le epurazioni. Gli altri signori dei draghi seguirono il suo esempio.”

“Le epurazioni?” Naiva si pentì di aver fatto quella domanda quando vide Baishya buttare gli occhi al cielo.

“Ma ascolti mai qualcosa, Nai?”

“Nessuno della nostra età scaglia una lancia da caccia o scocca una freccia più precisa di me. Cosa vuoi che mi interessi delle vecchie storie?”

“Basta così.” Nonna si alzò rigidamente, in un modo che turbò Naiva, che era abituata a vedere sua nonna sempre forte e capace. Ma quando lo sguardo di lei incontrò quello di Naiva, nemmeno un barlume di debolezza si mostrò nei suoi duri occhi. “Dovremo allungare e seguire il corso d’acqua, utilizzando gli alberi come copertura. Voglio raggiungere la tomba di Ugin senza incappare in quel drago.”

Si voltò per osservare il lato occidentale del Qal Sisma.

“Credi che quel discendente di Atarka ci stia ancora seguendo?” Chiese Naiva. “È da ieri che non lo vedo.”

“Anch’io”, disse Nonna. “Non mi piace il fatto che sia sparito. Forse si è annoiato. Forse ci sta seguendo per qualche motivo che potrebbe passare per un pensiero, in quella sua piccola mente. Alcuni discendenti di Atarka hanno un briciolo di astuzia che li rende particolarmente pericolosi. Ragazze, camminerete di fianco a me in mezzo alla fila.”

Baishya annuì con un sorriso, perché non esisteva luogo che amasse più delle vicinanze della Nonna, ma la rabbia di Naiva si infiammò.

“Avevi detto che avrei potuto esplorare, una volta raggiunto l’altopiano!”

“Questo prima di vedere quel discendente di Ojutai. Vieni con me.”

Non avrebbe portato a nulla litigare con Nonna.

Ma Naiva era furiosa durante la partenza, ed era furiosa durante la camminata, creando parole con le labbra senza dar loro fiato per pronunciarle. Ogni tanto la sua gemella lanciava uno sguardo sul lato, incrociando il suo, per muovere le sopracciglia in modo strano e prenderla in giro, fino al punto in cui il suo umore iniziò a calmarsi grazie a quegli stuzzichi familiari. La lunga camminata mattutina all’ombra della vegetazione aggrovigliata a seguire le pigre curve del corso d’acqua fu spiacevole, anche se non avrebbe mai ammesso che il costante ronzio degli insetti, gli strattoni dei viticci spinosi e le bruciature delle ortiche fossero cose fastidiose. Qualsiasi cacciatore del suo rango era superiore a queste scocciature mondane. Gli altri camminavano con espressione seria, mentre cercavano di affrontare gli insetti famelici a suon di schiaffi.

Appena prima di mezzogiorno, raggiunsero una curvatura del fiume a forma di giogo, dove si era formato un profondo specchio d’acqua separato dal corso del fiume principale. Nonna alzò una mano. “Faremo una pausa qui e pescheremo un po’ di pesce per la cena. Rakhan e Sorya, fate la guardia.”

Naiva camminò fino al limitare degli alberi e, utilizzando le foglie come copertura, scrutò i cieli. Un grosso rapace stava planando in lontananza, forse un falco o un’aquila. Uno stormo di fringuelli dalla lunga coda cercava insetti ai confini della folta vegetazione lungo il corso d’acqua. Dopo un po’, Nonna arrivò al suo fianco, con Baishya al seguito.

“Non c’è traccia del drago Ojutai”, disse Naiva. “Forse è tornato nel suo territorio.”

“Forse.” Nonna la studiò attentamente finché Naiva non iniziò a spostarsi da un piede all’altro, temendo di venire rimproverata quando era stata la prima ad individuare il drago. “Naiva, hai fatto un buon lavoro. Proteggere tua sorella. Uccidere i goblin e portarli al campo perché sarebbero potuti risultare utili in seguito. E, ovviamente, hai continuato ad andare avanti senza lamentarti. Me lo aspettavo, da te.”

Aveva fatto un buon lavoro!

Nonna indicò la radura. “Vedi quel cerchio di pietre là in fondo?”

Leggermente distante dal corso d’acqua, in mezzo all’erba alta, affiorava una protuberanza di roccia alta più o meno quanto un uomo. La roccia era attorniata da un cumulo di macigni, come se un tempo fosse stato un enorme focolare. Una coppia di avvoltoi era appollaiata su uno dei macigni. Stavano guardando all’interno del cerchio come fanno solitamente i mangiacarogne, curiosi riguardo a qualcosa che sarebbe potuto morire presto ma che ancora non era morto.

“Voglio che scali quell’affioramento per avere una vista migliore, dato che qui il nostro punto di vista è limitato. Se gli avvoltoi non hanno paura, nemmeno noi dovremmo averne. Ciononostante, avvicinati con cautela.”

“Certamente!”

“Baishya può venire con te.”

“Pensavo che avrei pescato insieme a te, Nonna”, protestò Baishya.

“Hai bisogno di pratica. Se Atarka sospettasse che sei una sussurratrice, ti divorerebbe. Vai.”

Naiva non vedeva l’ora di andare. Lasciò la propria borsa insieme alle altre e, portandosi solamente la lancia e il coltello, si affrettò verso l’erba alta. Anche se l’erba era abbastanza alta da nasconderla alla vista, si scuoteva comunque al suo passaggio, una seccatura con la quale non aveva mai avuto a che fare tra le montagne, dove l’erba non cresceva mai così tanto.

Dietro di lei, Baishya ansimava: “Aspettami.”


Disturbati dal rumore e dal movimento, gli avvoltoi si spostarono in aria.

“Shhh. Zitta.” Naiva rallentò mentre si avvicinavano ai macigni esterni del cerchio. Si fermò, premendo la propria schiena contro la dura curvatura del macigno più vicino e si sporse appena per scrutare all’interno della parte riparata, al centro.

L’estremità smussata di un bastone sfrecciò oltre il suo viso, mancandola di poco durante il suo movimento all’indietro. Lei roteò la lancia davanti a sé e, con un veloce movimento circolare, intercettò l’estremo del bastone dell’attaccante e lo spinse indietro duramente. La persona che lo impugnava incespicò, parando il colpo mentre lei colpiva nuovamente il suo bastone. Lei abbassò la lancia sotto la punta ed eseguì un affondo, ma l’estraneo deviò il colpo ruotando il proprio bastone verso il basso. Questa mossa, però, lo sbilanciò. Barcollò all’indietro per allontanarsi da lei. Lei fece un balzo, con l’intenzione di portarlo a terra, ma si fermò, fissandolo.

Si ritrovò di fronte un giovane uomo che ansimava pesantemente piegato sul proprio bastone. La spalla sinistra del suo indumento era viscida di sangue fresco. Le macchie rosse sporcavano il collo, arrivando fino al mento.

Tremava dal dolore, era una preda facile, e si meritava di essere ucciso per aver invaso i territori di Atarka. Eppure lei esitò, mentre stringeva più forte la propria lancia in posizione verticale, come dovrebbe fare ogni orgoglioso guerriero.

Con una voce rauca, lui disse: “Tu sei del clan Temur. Sto cercando Yasova Artiglio di Drago.”

Come se questa frase avesse prosciugato le sue ultime forze, si riversò sul terreno, senza sensi.

Baishya la raggiunse al fianco, osservando. “Chi è questo?”

“Chiama Nonna.”

Baishya prese un profondo respiro, come per segnalare che il secco ordine della sorella non le era piaciuto, poi si scosse e corse via.

Naiva premette la punta della sua lancia sul lato del collo del giovane. Lei aspettò come fa un cacciatore. Nel silenzio, ebbe tempo di esaminarlo più attentamente. Aveva la testa rasata, indossava dei larghi pantaloni, una tunica grigio chiaro cinta da una fascia attorno alla vita ed una cintura con una bellissima fibbia d’oro circolare decorata con piccole catenelle d’argento. Notò del movimento nella sua visione periferica mentre i due avvoltoi si appollaiavano sull’affioramento che avrebbe dovuto scalare.

“Potrete averlo solo se Nonna deciderà che non vale la pena salvarlo”, disse agli uccelli, ma il suo sguardo tornò a fissare i suoi occhi chiusi, le sue labbra socchiuse ed il suo volto magro. Non assomigliava affatto ai giovani con cui era cresciuta: sembrava misterioso e affascinante.

Lui riprese a muoversi, gemendo, e lei si preparò nel caso in cui volesse riprendere a combattere, ma lui non riuscì nemmeno ad alzare la testa, facendola cadere nuovamente sul terreno, immobile. Lei fece un passo indietro mentre Baishya ritornava in compagnia del grande orco, qualche passo più indietro. Fec controllò la radura riparata all’interno delle pietre prima di fischiare il segnale di “tutto libero!”.

Solo allora Nonna entrò nel cerchio di pietre. Girò attorno all’uomo svenuto, esaminandolo da ogni angolo, poi si chinò per togliere il bastone dalla sua mano inerme.

“Ha detto che stava cercando Yasova Artiglio di Drago”, disse Naiva.

“Proprio come nella mia visione”, disse Baishya ansiosamente.

“Hai visto lui?” Naiva non voleva che Baishya l’avesse visto per prima.

“No, non lui. Non mi interessa nulla di lui. Ho sentito quelle parole. Non ricordi?”

Forse le loro voci lo svegliarono, o forse aveva sempre continuato a lottare per rimanere sveglio. Le sue palpebre sussultarono. Perfino quel piccolissimo movimento ebbe ripercussioni sulla sua ferita. Con un sibilo di dolore, si svegliò, aprendo gli occhi. Chiudendoli e riaprendoli, il suo sguardo passava da una ragazza all’altra e viceversa, e li socchiuse dalla confusione.

“Ho sbattuto molto forte la testa?” sussurrò. “La mia vista me ne mostra due. Si dice che i sussurratori Temur abbiano il potere di creare un duplicato di sé stessi fatto di ghiaccio. Una di voi è forse il fantasma magico dell’altra?”

La mano di Nonna si strinse attorno alla lancia che trasportava: una normale lancia dalla punta di ossidiana, non la leggendaria lancia con l’artiglio di drago che un tempo indicava la sua posizione come guida dell’intero popolo Temur. “Stai venendo cacciato da uno dei discendenti di Ojutai, vero?”

“Sì.”

“Dovrei ucciderti e portarti dal tuo signore dei draghi. La tua presenza mette a rischio il mio popolo.”

“Non puoi ucciderlo”, esclamò Naiva. “È venuto a cercarti! Se non lo curi, morirà.”

“Moriamo tutti, prima o poi”, rispose sua Nonna, con un tono talmente calmo da dare sui nervi. “Questa potrebbe essere una trappola preparata da Ojutai per riuscire a trovarmi.”

“Quindi sei davvero Yasova, custode del passato e, ora, guardiana di ciò che non è scritto.”

“Perché ti interessa così tanto?”

“Tre mesi fa, il mio maestro fece un sogno. Quando si svegliò, mi disse che ero destinato a compiere un lungo viaggio. Mi disse che era giunto il tempo di condividere i nostri segreti.”

“Molte persone dicono di avere dei segreti, ma pochi tra quelli sono tanto preziosi da essere condivisi”, disse Nonna.

Gli ci vollero diversi respiri sfiniti per raccogliere la forza per pronunciare altre parole: “Ojutai distrusse gli archivi che Shu Yun conservò per moltissime generazioni. Vuole distruggere i nostri ricordi del passato, e dei nostri antenati, così che i nostri popoli conoscano solamente ciò che i signori dei draghi vogliono che conoscano. Ma la storia che lo Spirito Drago raccontò ai primi sciamani è sopravvissuta perché non era stata solamente trascritta. Venne anche tramandata da maestro ad allievo, memorizzata e consegnata alle nuove generazioni.”

La fronte di Nonna si aggrottò. Uno scintillio si risvegliò nei suoi occhi, un lampo di emozione, un brivido di paura e speranza. “Lo Spirito Drago ha parlato ai vostri sciamani?”

“Sì, e io so-” Si interruppe, tossendo. Delle goccioline rosse si posarono sul suo mento, ed il suo respiro si fece sempre più ansimante man mano che lottava per rimanere sveglio.

“Non lo sapremo mai se non lo curi”, gridò Naiva.

“Nai ha ragione”, affermò Baishya. “Lasciamogli dimostrare la verità nelle sue parole.”

Nonna si accigliò. “Fec? Qualche segno del discendente di Ojutai?”

L’orco si abbassò su una delle rocce minori, anche se Naiva si stava chiedendo come avesse fatto ad arrampicarsi fin lì con la gamba azzoppata. “Il cielo è vuoto. Secondo me è un cattivo segno.”

Nonna si inginocchiò di fianco al giovane uomo. “Qual è il tuo nome?”

“Io sono Tae Jin, Yasova Artiglio di Drago.”

“Non usare più quel titolo.”

Lei prese la mano che lui stava premendo sulla sua ferita e la spostò sull’altro lato. Il sangue sgorgò sul tessuto nell’istante in cui la pressione venne rimossa. Lei si tolse il guanto e posizionò la sua mano sulla ferita, con le dita allargate. La luce della magia illuminò la mano, la sua forza vitale era come una lanterna che bruciava via l’agonia dal corpo di lui. Digrignò i denti, senza emettere alcun suono, ma il sudore riempì la sua fronte nonostante il freddo vento che soffiava su tutti loro.

La magia svanì. Gli occhi di Nonna apparivano stanchi e prosciugati, ma non diede altro segno del tributo che l’incantesimo curativo le aveva richiesto mentre si metteva seduta sulle cosce.

“Dimmi qualcosa che non so, e potrei lasciarti vivere.”

Inspirò, poi espirò, privo del senso di pesantezza di prima. “Queste sono le parole dello Spirito Drago Ugin, che vennero pronunciate in tempi antichi ad uno dei miei antenati Jeskai.”

Poi iniziò a parlare con un tono quasi impercettibile e mnemonico, come fosse un mero imbuto tramite il quale una voce molto più antica parlava attraverso generazioni e generazioni.

SE DESIDERI PADRONEGGIARE LA VIA, ALLORA DOVRAI IMPARARE, RIPETERE E RICORDARE. ANCHE LA MEMORIA È CONOSCENZA. DIMENTICARE IL PASSATO SIGNIFICA PERDERE UNA PARTE DI SÉ STESSI. ANCORA PEGGIO SE È UN INTERO POPOLO A PERDERE IL PROPRIO PASSATO.

LA MIA STORIA È MOLTO SEMPLICE. COLUI CHE AMAVO PIÙ DI OGNI ALTRA COSA IN TUTTI I MONDI È ANCHE COLUI CHE MI HA UCCISO.

COM’È POTUTO SUCCEDERE? QUESTO È MENO SEMPLICE, E CI VORRÀ PIÙ TEMPO PER RACCONTARLO. ASCOLTA ATTENTAMENTE, PERCHÉ UN GIORNO LUI POTREBBE VENIRE QUI, E SE CIÒ DOVESSE ACCADERE, ALLORA DOVRAI STARE BEN ATTENTO, POICHÉ QUALSIASI PAROLA EGLI PRONUNCI PER ADULARTI O PERSUADERTI NON SARÀ ALTRO CHE UNA MENZOGNA.

Nonna sibilò bruscamente.

Baishya le prese la mano. “Va tutto bene? Ti fa male qualcosa?”

“No, era solo un brutto ricordo. Vai avanti, Tae Jin. Hai catturato il mio interesse.”

Lui annuì, come se si stesse aspettando quella risposta, e continuò a parlare.

NOI DRAGHI PRECIPITAMMO DAL CIELO IN UNA TERRA CHE NON AVEVA CONOSCENZA DI NOI, NÉ NOI AVEVAMO CONOSCENZA DI ESSA. OVVIAMENTE, ERAVAMO IN MOLTI CUCCIOLI. CIASCUNO SI APPROCCIÒ A QUESTO NUOVO MONDO A MODO SUO.

IO NACQUI GEMELLATO CON NICOL, NONOSTANTE OGNI ALTRO UOVO CONTENESSE UNO SOLTANTO DI NOI. CI SVEGLIAMMO INSIEME, CI NOMINAMMO INSIEME, TOCCAMMO IL SUOLO DELLA NOSTRA NUOVA DIMORA NELLO STESSO ISTANTE. ASSISTEMMO ALLA MORTE DI UNA NOSTRA SORELLA E, IN QUESTO MODO, IMPARAMMO CHE NESSUNA CREATURA È AL SICURO. NEMMENO NOI.

QUANDO IO E NICOL ABBANDONAMMO LA VETTA DELLA MONTAGNA, VOLAMMO IN CERCA DEI NOSTRI FRATELLI. LA MORTE DI NOSTRA SORELLA MI TORMENTAVA PER LA BREVITÀ DELLA SUA VITA E LA MODALITÀ SELVAGGIA DELLA SUA MORTE. PER QUANTO RIGUARDA NICOL, LA COSA LO FACEVA INFURIARE PERCHÉ NE ERA SPAVENTATO, NONOSTANTE LUI CONTINUASSE A NEGARLO. SE MAI AVRAI LA DISGRAZIA DI INCONTRARLO, NON SUGGERIREI A NESSUNO DI INSINUARE IN LUI IL DUBBIO CHE PER UNA VOLTA, NELLA SUA LUNGA VITA, ABBIA PROVATO PAURA.

I NOSTRI ALTRI FRATELLI SOPRAVVISSUTI? SUPPONGO CHE TU NON NE ABBIA MAI SENTITO PARLARE. I NOMI DEGLI ANTICHI DRAGHI UN TEMPO ERANO CELEBRATI CON RIVERENZA E RISPETTO. È COSÌ FACILE DIMENTICARE. NESSUN RICORDO È AL SICURO.

MA CHE BEL VOLO CHE COMPIMMO QUEL PRIMO GIORNO, OSSERVANDO OGNI COSA CON OCCHI DA NEONATO! IL CIELO, COSÌ GRANDE! LE NUVOLE COME NEBBIA, E I FIUMI CHE SERPEGGIAVANO ATTRAVERSO UN’AMPIA LANDA RICOPERTA DI BESTIE E VEGETAZIONE. IO NON VEDEVO L’ORA DI CAPIRE E CONOSCERE COSA FOSSE OGNI COSA PER SCOPRIRE IL SUO NOME ED IL SUO SCOPO.

ANCHE NICOL FISSAVA TUTTO, IL CIELO COSÌ VASTO E LE NUVOLE COME NEBBIA, E POI DISSE: “COME AVREMMO POTUTO IMPEDIRE A QUEI CACCIATORI DI UCCIDERLA?”

“UNA VOLTA CHE COMPRENDEREMO MEGLIO IL MONDO, TROVEREMO LA RISPOSTA. NON SEI EMOZIONATO ALL’IDEA DI ESPLORARE?”

“AVREMMO DOVUTO INTERVENIRE.”

“ERI IN TRAPPOLA.”

“NON ERO IN TRAPPOLA! AVREMMO POTUTO PENSARE A QUALCOSA, SE TU NON AVESSI ESITATO.”

“ABBIAMO FATTO CIÒ CHE SAPEVAMO FARE AL TEMPO.”

“NON È STATO SUFFICIENTE! DOBBIAMO IMPARARE COSA AVREMMO POTUTO FARE PER IMPEDIRLO.”

“MA NON TI INCURIOSISCE QUESTO MONDO?”

“VOGLIO SAPERE CHI SONO QUEI CACCIATORI, E DA DOVE VENGONO, E COME POSSIAMO DISTRUGGERLI. ORA HANNO SCOPERTO CHE POSSONO UCCIDERE UNO DI NOI, QUINDI NON CI TEMERANNO PIÙ.”

“GUARDA LÀ”, RISPOSI, SPERANDO DI DISTRARLO. “UNO DEI NOSTRI FRATELLI!”

ALL’INTERNO DI UN’ALTA VALLATA, TRA LE MONTAGNE, SI ESTENDEVA UN LAGO SCURO E PROFONDO. UN LUNGO DRAGO SINUOSO, CON UNO SCINTILLIO METALLICO SULLE SUE SCAGLIE, SI STAVA SPORGENDO SU UN PIATTO AFFIORAMENTO DI NUDA ROCCIA, CON LE ZAMPE ANTERIORI PENZOLANTI DAL BORDO E LA SUA LUCIDA TESTA A CIONDOLONI SULL’ACQUA, COME SE SI FOSSE ADDORMENTATO. MENTRE VOLAVAMO CON ENTUSIASMO VICINO A LUI, CERCANDO UN LUOGO PER ATTERRARE, QUALCOSA DI MOSTRUOSAMENTE GROSSO INCRESPÒ LE ACQUE DEL LAGO, SVANENDO POI NELLE TORBIDE PROFONDITÀ. DALLA SUA POSTAZIONE SULL’AFFIORAMENTO, CHROMIUM RHUELL GUARDÒ IMPROVVISAMENTE VERSO L’ALTO, MANIFESTANDO TUTTA LA SUA DISAPPROVAZIONE.

“PERCHÉ MI DISTURBATE, GIOVANI?”

“NON SIAMO PIÙ GIOVANI DI TE! SIAMO CADUTI DALLO STESSO BATTITO D’ALI!” SENZA CHIEDERE IL PERMESSO, NICOL ATTERRÒ DI FIANCO A NOSTRO FRATELLO. IO MI PRECIPITAI VELOCEMENTE AL SUO FIANCO.

“VI SIETE SCHIUSI PIÙ TARDI, QUINDI SIETE PIÙ GIOVANI. E, DEVO DIRE, ANCHE PIUTTOSTO PICCOLI. VOI DUE INSIEME SIETE GRANDI QUANTO ME.” CI SQUADRAVA COME SE POTESSE MISURARE IL NOSTRO VALORE DALLE NOSTRE DIMENSIONI. “AVETE ROVINATO LA MIA OSSERVAZIONE DELLE VARIE CREATURE CHE VIVONO NEL LAGO.”

NICOL PIEGÒ IL COLLO PER GUARDARE ATTRAVERSO LE ACQUE TORBIDE. “STAI CACCIANDO?”

“CACCIARE? MA PENSATE TUTTI A QUELLO? QUALI SONO I VOSTRI NOMI? NO, ASPETTATE. NON C’È BISOGNO CHE ME LI DICIATE.”

“HAI INTENZIONE DI INDOVINARE I NOSTRI NOMI?” CHIESE NICOL, SARCASTICAMENTE.

“IO NON TIRO A INDOVINARE. I DRAGHI NASCONO CON IL DONO DEI NOMI. È NELLA NOSTRA NATURA CONOSCERE I NOMI SENZA CHE CI VENGANO DETTI. PROPRIO COME GIÀ CONOSCIAMO I NOSTRI NOMI AL MOMENTO DELLA NOSTRA PRESA DI COSCIENZA.” CHIUSE GLI OCCHI, PER NULLA INTIMORITO DALLA NOSTRA PRESENZA, POI LI RIAPRÌ PER ESAMINARCI CON UNO SGUARDO SCRUPOLOSO ED INESORABILE CHE MI IRRITÒ MOLTO, PERCHÉ ERA TROPPO SICURO DI SÉ. MA C’È DA DIRE CHE LA SUA CURIOSITÀ E SICUREZZA MI AFFASCINAVANO. “PERCHÉ AVETE SOLAMENTE UN NOME?”

NICOL NON DISSE NULLA, MENTRE SCAVAVA VIA QUALCOSA DALLA ROCCIA. DEL VAPORE SBUFFÒ DAI LATI DELLA SUA BOCCA CHIUSA.

“SIAMO NATI GEMELLATI”, DISSI, METTENDOMI UN PO’ SULLA DIFENSIVA DA PARTE DI MIO FRATELLO, E FORSE ANCHE DA PARTE MIA.

“AH, QUINDI AVETE DUE NOMI, MA LI CONDIVIDETE TRA VOI, UNO PER CIASCUNO. QUESTO SPIEGHEREBBE ANCHE LE VOSTRE DIMENSIONI, E FORSE ANCHE PERCHÉ SEMBRATE MOLTO PIÙ GIOVANI. MMM. INTERESSANTE.”

“COME PUÒ ESSERE INTERESSANTE?” CHIESE NICOL, CON LA CODA CHE SBATTEVA A DESTRA E A SINISTRA.

“ESISTE UN ORDINE SEGUITO DAL MONDO. È DIFFICILE CARPIRLO PERCHÉ LA MAGGIOR PARTE CI È NASCOSTA ALLA VISTA. CHIARAMENTE, LA MAGGIOR PARTE DELLE CREATURE MANCA DI PAZIENZA O DI VOLONTÀ PER RICERCARE APPROFONDITAMENTE QUESTO LIBRO DELLA CONOSCENZA.”

“A ME NON MANCA NULLA”, DISSE NICOL.

CHROMIUM RHUELL SBUFFÒ UN PO’ DI FUMO E DISPIEGÒ LE SUE ALI ABBASTANZA DA ESPRIMERE IL SUO MALCONTENTO. “NON LO METTO IN DUBBIO. MA PER ORA, ANDATE VIA, PICCOLI. VORREI TORNARE ALLE MIE OSSERVAZIONI. E NON POSSO FARLO SE RIMANETE QUI A PARLARE AD ALTA VOCE E DISTURBARE LA FAUNA SELVATICA.”

“E SE VOLESSIMO CACCIARE?” CHIESE NICOL.

“SE VI INTERESSA SOLO LA CACCIA, ALLORA È MEGLIO CHE ANDIATE A CERCARE PALLADIA-MORS. PENSO CHE SIA LA SUA PIÙ GRANDE AMBIZIONE.”

CI OSSERVÒ DALL’ALTO FINCHÉ NON ACCETTAMMO IL SUGGERIMENTO E CE NE ANDAMMO.

SU UNA VASTA PRATERIA, UN ENORME DRAGO VERDE-ROSSICCIO CON CORNA RICURVE RUGGIVA MENTRE INSEGUIVA UNA MANDRIA DI BESTIE A QUATTRO ZAMPE. SCAGLIÒ DELLE FIAMME SU QUELLA PIÙ LENTA, FACENDOLA CADERE, FREMERE E, INFINE, MORIRE. FECE UN’INVERSIONE DI DIREZIONE IN CIELO, PER POI ATTERRARE DI FIANCO AL CADAVERE E MANGIARE.

IO VOLAI NELLE VICINANZE, CON NICOL AL MIO SEGUITO. QUANDO ATTERRAMMO VICINO A LEI, DIRESSE I SUOI OCCHI ROSSI VERSO DI NOI E LANCIÒ UNA FIAMMATA D’AVVERTIMENTO NELLA NOSTRA DIREZIONE.

“QUESTA È MIA. MIA.”

“TU SEI PALLADIA-MORS”, DISSI, EDUCATAMENTE. “NOSTRA SORELLA MAGGIORE. CHROMIUM RHUELL CI HA SUGGERITO DI VENIRE DA TE PER IMPARARE QUALCOSA SULLA CACCIA.”

“ANDATE A CACCIARE PER CONTO VOSTRO.” STRAPPÒ UN GRANDE PEZZO DI CARNE E, CON IL SANGUE CHE LE MACCHIAVA IL MUSO E I DENTI, MASTICÒ ED INGOIÒ, POI SI VOLTÒ NUOVAMENTE VERSO DI NOI PER LANCIARCI UN’OCCHIATACCIA. “SIETE COSÌ PICCOLI, VOI DUE. PICCOLETTI. MI SA CHE SIETE TROPPO PICCOLI PER CACCIARE.”

“NOI POSSIAMO A CACCIARE!” NICOL ARTIGLIÒ INFURIATO IL TERRENO, POI AGGIUNSE: “E MEGLIO DI TE, UNA VOLTA CHE AVREMO IMPARATO.”

LEI AFFERRÒ IL CADAVERE BRUCIATO DELLA BESTIA E LO LANCIÒ A NOI CON UNA VIOLENTA RISATA. NICOL SI SCANSÒ DI LATO, SORPRESO, MA IO RIMASI ACCUCCIATO DOV’ERO, DATO CHE AVEVO CAPITO CHE QUEL LANCIO MI AVREBBE MANCATO, COME INFATTI SUCCESSE. IL SUO PESO VENNE SBATTUTO SULLA TERRA, SCHIZZANDOCI DI VARI FLUIDI ORGANICI.

“ECCO, POTETE AVERE I MIEI AVANZI. LA CARNE DI QUESTA QUI È DURA E ASCIUTTA. VOGLIO UCCIDERNE UNA PIÙ SAPORITA PER IL MIO PASTO.”

LEI APRÌ LE SUE MAGNIFICHE ALI E BALZÒ NEL CIELO. LA FORZA DEL SUO BATTITO D’ALI CI FECE RIMANERE A TERRA COME FOSSERO VENTI DI TEMPESTA, E POI SE NE ANDÒ ALL’INSEGUIMENTO DELLA MANDRIA IN FUGA. IO ANNUSAI L’ANIMALE MORTO, CERCANDO NEI RIMASUGLI DEL SUO SPIRITO UNA QUALCHE INDICAZIONE DEL SUO NOME E DELLA SUA ESSENZA: ERA UNO STAMBECCO, VECCHIO PER LA SUA RAZZA; AVEVA VISSUTO UNA VITA PACIFICA, E QUESTO CONFERIVA AL SUO SANGUE E ALLA SUA CARNE UN ODORE QUASI PIACEVOLE.

STRAPPAI UN PEZZO DI CARNE. ERA PIACEVOLE DA MANGIARE, ANCHE SE UN PO’ DURA. “VIENI A PROVARLA.”

“NON MANGERÒ GLI AVANZI DI QUALCUN’ALTRO.” NICOL SI SEDETTE SULLA SUA CODA, STENDENDOSI VERSO L’ALTO PER VEDERE FINO A CHE ALTEZZA SAREBBE ARRIVATO. “NON SIAMO COSÌ PICCOLI. SIAMO PIÙ GRANDI DI QUALSIASI ALTRA BESTIA CHE VAGA PER QUESTA TERRA. VUOI VENIRE CON ME?”

SEMBRAVA UNO SPRECO LASCIARE LÌ LA BESTIA MORTA, MA MENTRE OSSERVAVO LA CARNE CHE SI RAFFREDDAVA, GLI INSETTI SI POSARONO SULLA SUA PELLE PER SCAVARE DEI PICCOLI CUNICOLI E I PICCOLI CARNIVORI SI INIZIAVANO AD AVVICINARE, FERMANDOSI AD UNA DISTANZA DI SICUREZZA, IN ATTESA CHE NOI CE NE ANDASSIMO. ANCHE ALTRE CREATURE AVEVANO INIZIATO LA LORO OPERA DI CONSUMAZIONE DELLA CARNE MORTA, NONOSTANTE FOSSERO COSÌ PICCOLE DA RISULTARE INVISIBILI AD OCCHIO NUDO. ANCHE CIÒ CHE MARCISCE VIENE CONSUMATO.

LA RIVELAZIONE MI INVESTÌ COME L’ARIA CALDA DI UNA TEMPESTA: ALL’INTERNO DI QUELLA RETE INVISIBILE FORMATA DALLA VITA E DALLA MORTE, NULLA VA SPRECATO.

“LA MORTE FA SEMPLICEMENTE PARTE DI UN CICLO PIÙ AMPIO”, DISSI, PIUTTOSTO COLPITO DALLA MIA INCREDIBILE SAGGEZZA.

“VOGLIO UCCIDERE QUALCOSA”, DISSE NICOL. “VIENI CON ME?”

ERA LA SECONDA VOLTA CHE MI AVEVA CHIESTO DI ANDARE CON LUI. AD ESSERE SINCERI, NON CI ERAVAMO MAI SEPARATI, NON AVEVAMO MAI CAMMINATO NÉ VOLATO SENZA CHE L’ALTRO FOSSE ABBASTANZA VICINO DA UDIRLO, ALMENO. NON RIUSCIVO AD IMMAGINARE LA MIA ESISTENZA NEL MONDO SENZA DI LUI AL MIO FIANCO.

“SÌ. IMPARIAMO COME CACCIARE INSIEME.”

I DRAGHI SONO CACCIATORI NATURALI. È PER QUESTO CHE NASCIAMO: LA CACCIA, LA RICERCA DEI NOMI E L’ACCUMULO DI CONOSCENZA. MA NONOSTANTE CIÒ, GLI STAMBECCHI E LE GAZZELLE DELLA PIANURA ERANO MOLTO VELOCI E ASTUTE PER NON FARSI COGLIERE DA UN AGGUATO. AVEVANO MOLTA PIÙ ESPERIENZA NELLA FUGA DI QUANTA NOI NE AVESSIMO NELLA CACCIA.

UNA VOLTA, PALLADIA-MORS ERA SFRECCIATA SOPRA DI NOI PROPRIO QUANDO ERAVAMO RIUSCITI A METTERE ALL’ANGOLO UNA PICCOLA GAZZELLA. CON UNA FACILITÀ DISARMANTE, CI PRIVÒ DELL’ANIMALE APPENA PRIMA CHE POTESSIMO STRINGERGLI ATTORNO I NOSTRI ARTIGLI. CON UN RUGGITO DI SFIDA, VOLÒ VIA LEI CON LA GAZZELLA NELLE SUE GRINFIE. NICOL VOLEVA INSEGUIRLA, MA IO CHIUSI LA MIA BOCCA ATTORNO ALLA SUA CODA E LO TRATTENNI A TERRA FINCHÉ NON FU ABBASTANZA CALMO DA ASCOLTARMI.

“SE CI FA INFURIARE, VINCE LEI. VUOI DAVVERO CHE VINCA?”

LUI SBUFFÒ UN FILO DI FUMO FULIGGINOSO DALLE PROFONDITÀ DELLA SUA FRUSTRAZIONE, MA DOPO QUELL’EPISODIO CI PREMURAMMO DI VOLARE LONTANO DAL TERRENO DI CACCIA DI NOSTRA SORELLA MAGGIORE COSÌ CHE NON TROVASSE PIÙ SCUSANTI PER AMMORBARCI.

“CACCIARE E NON PENSARE A NULL’ALTRO È NELLA SUA NATURA”, DISSI. “MA NOI NON SIAMO COME LEI. NOI POSSIAMO PREOCCUPARCI DI ALTRE COSE OLTRE ALLA CACCIA. CACCIARE CI SERVE PER NUTRIRCI, NON PER VIVERE NEL MONDO.”

EPPURE, NELL’ATTIMO IN CUI RIUSCIMMO A FINALMENTE AD ABBATTERE UN ANIMALE TROPPO DEBOLE PER SEMINARE I NOSTRI MISERABILI TENTATIVI DI CATTURA, IO ERO ESAUSTO E NICOL ERA TALMENTE FRUSTRATO DA STRAPPARE GLI ARTI DELLA CREATURA IN UN MORSO, DEGLUTIRLI TROPPO VELOCEMENTE E RISPUTARLI NUOVAMENTE FUORI.

“QUEI CACCIATORI NON SAREBBERO DOVUTI RIUSCIRE AD UCCIDERE NOSTRA SORELLA”, DISSE, QUANDO POTÉ PARLARE.

“POSSO MANGIARE IN PACE, SENZA CHE LA TUA OSSESSIONE ROVINI IL MIO PASTO?” CHIESI, MASTICANDO DEBOLMENTE UNA STRISCIA DI CARNE DEL FIANCO.

“I CACCIATORI HANNO LAVORATO INSIEME. SE ANCHE NOI IMPARASSIMO A LAVORARE INSIEME, ALLORA POTREMMO CACCIARE MEGLIO DI PALLADIA-MORS.”

MANGIAI PENSOSO, TENENDO CONTO DELLE SUE PAROLE. ERA VERO CHE AVEVAMO CACCIATO ALLA MANIERA DI NOSTRA SORELLA MAGGIORE, CIASCUNO PER CONTO PROPRIO, AFFIDANDOCI ALLA NOSTRA FORZA E VELOCITÀ INDIVIDUALI. E SE CI FOSSE STATO UN MODO MIGLIORE?

CI RIPULIMMO IN UN CALDO BANCO DI SABBIA E DORMIMMO NEL SOLE POMERIDIANO. DOPO QUELLA PIACEVOLE PAUSA, NICOL DIMENTICÒ LA SUA FRUSTRAZIONE E NON VEDEVA L’ORA DI METTERSI AL LAVORO. IMPIEGAMMO ANNI, COME VOI JESKAI MISURERESTE IL PASSARE DEI GIORNI, A PERFEZIONARE LE VARIE TECNICHE NELLA CACCIA DI COPPIA. ALLA FINE, ERAVAMO FACILMENTE IN GRADO DI CATTURARE GLI ESEMPLARI PIÙ GUSTOSI E IN SALUTE DA UNA QUALSIASI MANDRIA, INDIPENDENTEMENTE DALLA VELOCITÀ E DALL’ASTUZIA DELL’ANIMALE.

IN QUESTO TEMPO, AVEVAMO ESPLORATO NUOVI TERRITORI. PER DIVERSE VOLTE VENIMMO INSEGUITI DA UN GROSSO ED ORRENDO DRAGO DI NOME VAEVICTIS ASMADI CHE, CON I SUOI FRATELLI, DIFENDEVA FURIOSAMENTE UN TERRITORIO CHE AVEVA PROCLAMATO SUO TERRENO DI CACCIA, NONOSTANTE AVESSE SPAZIO E CACCIAGIONE A SUFFICIENZA PER MOLTI PIÙ CACCIATORI. QUINDI, NOI ESPLORAMMO ANCORA OLTRE, PERCHÉ PER NOI LA TERRA SEMBRAVA VASTISSIMA E L’OCEANO CHE LA CINGEVA UNA BARRIERA INSORMONTABILE. ERAVAMO COSÌ GIOVANI E IGNORAVAMO COSÌ TANTE COSE A QUEI TEMPI.

UN GIORNO, CI FERMAMMO SOPRA UNA COLLINA IN MEZZO AD UNA PIANURA RICCA DI FORESTE. DA QUESTO PUNTO SOPRAELEVATO, CI RITROVAMMO AD OSSERVARE UN INSEDIAMENTO SULLA RIVA DEL FIUME ABITATO DA QUEI BIPEDI CHIAMATI UMANI. GENERALMENTE, EVITAVAMO GLI UMANI. NON AVEVANO UN BUON SAPORE, E NON MI PIACEVA L’IDEA DI MANGIARE QUALCOSA CHE POTESSE PARLARE.

L’INSEDIAMENTO ERA ATTORNIATO DA UNA CINTA DI MURA FORMATA DA FASCI DI LEGNO TENUTI INSIEME DA UN RIVESTIMENTO IN PIETRA, MENTRE GLI SPAZI TRA UN FASCIO E L’ALTRO ERANO RIEMPITI DI TERRA. AVEVAMO OSSERVATO ALTRI ACCAMPAMENTI SIMILI, DOVE QUESTE PICCOLE E FRAGILI CREATURE SI PROTEGGEVANO RIUNENDOSI IN GRANDI NUMERI. QUESTO ERA DI GRAN LUNGA IL PIÙ ESTESO, CON LA PIÙ GRANDE VARIETÀ DI STRUTTURE ED IL MAGGIOR NUMERO DI UMANI STIPATI ALL’INTERNO DEI SUOI CONFINI POCO SALUBRI. PER FARLA BREVE, SI POTEVA SENTIRE L’ODORE ANCHE DA MOLTO LONTANO.

CON NOSTRA GRANDE SORPRESA NOSTRO FRATELLO ARCADES SABBOTH AVEVA PRESO RESIDENZA ALL’INTERNO DELLA GRANDE CINTA DI MURA. UNO SPAZIOSO GIARDINO DI FRONTE AD UN EDIFICIO MOLTO GRANDE, COSTRUITO IN LEGNO CON UN ALTO E STRETTO TETTO DI PAGLIA. IN UN CORTILE RICOPERTO DI LISCE PIETRE FLUVIALI, EGLI RIPOSAVA A SUO AGIO. DEGLI SCUDI DI BRONZO CON UNA SPIRALE DECORATIVA LO FIANCHEGGIAVANO SU OGNI LATO, COSÌ LUCIDI CHE OGNI PERSONA CHE SI AVVICINAVA VENIVA RIFLESSA IN QUELLO SPLENDORE. DI FRONTE A LUI, PIANTATO IN UN VASO DI BRONZO TEMPESTATO DI AGATE, SI INNALZAVA UN ALBERO SLANCIATO CON UN SOTTILE TRONCO INTAGLIATO NELL’AVORIO E DELLE FOGLIE RICOPERTE D’ORO.

DELLE PERSONE CHE INDOSSAVANO BRACCIALETTI E SPILLE D’ORO E D’ARGENTO GLI FACEVANO VISITA. ALCUNI ERANO SCRIBA, SEDUTI A GAMBE INCROCIATE SUI TAPPETI, CHE SCRIVEVANO LETTERE SULLA PERGAMENA. DEI SUPPLICANTI DAI VESTITI UMILI SI INCHINAVANO ALL’ALBERO CHINANDO LA TESTA, IN ATTESA DI UN GIUDIZIO.

VOLEVO OSSERVARE LA SCENA PER UN PO’, POICHÉ MI COLPIVA VEDERE UN DRAGO INTERAGIRE CON GLI UMANI IN UN MODO COSÌ INTIMO. MA NICOL ERA IMPAZIENTE, E NON VEDEVA L’ORA DI INCONTRARE QUESTO FRATELLO SPLENDENTE, LE CUI SCAGLIE ERANO DI UN BIANCO ACCECANTE SOTTO I RAGGI DEL SOLE, E CHE PRESIDIAVA SUGLI UMANI CON COSÌ TANTA SICUREZZA.

“NON AVEVO COMPRESO CHE GLI UMANI POTESSERO FIDARSI DEI DRAGHI”, DISSE.

VISTO CHE GLI UMANI SI MUOVEVANO ATTORNO A NOSTRO FRATELLO SENZA TIMORE, CI AVVICINAMMO APERTAMENTE. EPPURE, QUANDO ARRIVAMMO IN VISTA DEI CAMPI COLTIVATI CHE CIRCONDAVANO LA CITTÀ, LA GENTE INIZIÒ A CORRERE VERSO LE MURA. I CORNI SUONARONO COME AVVERTIMENTO. GLI ARCIERI PRESERO POSIZIONE LUNGO LA CAMMINATA DELLE MURA. NON APPENA FUMMO ALLA GIUSTA DISTANZA, UNA RAFFICA DI FRECCE VENNE LANCIATA VERSO L’ALTO, VERSO IL NOSTRO VENTRE. ALCUNE FRECCE COLPIRONO IL BERSAGLIO. IL LORO TOCCO SULLE MIE SPESSE SCAGLIE ERA POCO PIÙ DI UNA SENSAZIONE DI PRURITO, PIÙ FASTIDIOSO CHE PERICOLOSO, EPPURE MI BALENÒ ALLA MENTE UN VIVIDO RICORDO DELLA MORTE DI MIA SORELLA E SOFFOCAI LA RABBIA NEL MIO PETTO.

NICOL SI ALZÒ VERSO IL CIELO PER UN ATTIMO, SI STESE PER IL LUNGO, COME GLI PIACEVA FARE PER SEMBRARE PIÙ GRANDE. LE SUE CORNA CURVE INCONTRARONO LA LUCE DEL SOLE E BRILLARONO. POI SI GIRÒ CON UNA PIROETTA AGGRAZIATA E SI LANCIÒ IN PICCHIATA. IL SUO COLPO DI SOFFIO INFUOCATO BRUCIÒ LA TORRE PIÙ ALTA E LE CAMMINATE DELLE MURA CONGIUNTE. GLI SFORTUNATI SOLDATI URLAVANO E CADEVANO MENTRE IL FUOCO LI CONSUMAVA.

UN ENORME CORPO SI SCHIANTÒ CONTRO NICOL, FACENDOLO BARCOLLARE IN ARIA. RIUSCÌ A MALAPENA A DARE UN COLPO D’ALI PER RIMANERE IN EQUILIBRIO QUANDO NOSTRO FRATELLO MAGGIORE, ARCADES, STAVA GIÀ TORNANDO INDIETRO PER UN ALTRO ATTACCO. IO MI FRAPPOSI TRA I DUE, GRIDANDO.

“FRATELLO! NON VOGLIAMO FARTI DEL MALE. VOGLIAMO SOLAMENTE PARLARTI.”

CONDUSSI UN NICOL FURIOSO, ABBATTUTO E FERITO VERSO LA COLLINA DALLA QUALE AVEVAMO VISTO INIZIALMENTE LA CITTÀ. ATTERRAMMO SULLA SUA VETTA ERBOSA. LA MORTE NON ERA PIÙ UNA COSA ESTRANEA PER ME, POICHÉ AVEVAMO UCCISO LA NOSTRA BUONA DOSE DI PREDE, MA LE URLA DEI SOLDATI MORENTI MI TURBARONO IN UN QUALCHE MODO. UNA SENSAZIONE CHE NON MI PROVOCAVANO GLI ULTIMI ATTIMI DEGLI ANIMALI CHE CACCIAVAMO. NICOL STAVA SANGUINANDO DAL GRAFFIO PROVOCATO DAGLI ARTIGLI DI ARCADES SUL SUO FIANCO. STAVA SBUFFANDO, SCALPITANDO E ANSIMANDO.

IO DISSI: “ECCOLO CHE ARRIVA!”

ARCADES ATTERRÒ, CON LE GRANDI ALI ALLARGATE. LA SUA LUCENTEZZA ERA CHIARA QUANTO IL SOLE E I SUOI ARTIGLI ERANO SFODERATI.

PRIMA CHE NICOL POTESSE PARLARE, DISSI: “PERDONACI, FRATELLO. PENSAVAMO CHE QUELLE CREATURE FOSSERO ABITUATE ALLA PRESENZA DEI DRAGHI.”

È NELLA NATURA DEI DRAGHI CONOSCERE QUELLI DELLA PROPRIA SPECIE.

“VOI SIETE I GEMELLI, NICOL E UGIN.”

“IO SONO NICOL BOLAS”, DISSE NICOL.

“CHI SARESTI?” CHIESI. “E DA QUANDO?”

“HO DUE NOMI. TUTTI I VERI DRAGHI HANNO DUE NOMI.”

“UGIN MI STA BENE”, DISSI, CATALOGANDO L’ACCADUTO COME UN NUOVO CAMBIO D’UMORE REPENTINO DI NICOL. MI RIVOLSI NUOVAMENTE A NOSTRO FRATELLO, IN MANIERA GENTILE. “FRATELLO ARCADES, PERCHÉ GLI UMANI CI HANNO ATTACCATI QUANDO CI SIAMO AVVICINATI?”

A DIFFERENZA DELLA NOSTRA RUGGENTE SORELLA, ARCADES PARLAVA CON UNA VOCE PACATA E RISONANTE, PROFONDA E RASSICURANTE. “I MIEI ESEMPLARI PENSAVANO CHE LI STESTE ATTACCANDO.”

“E PERCHÉ L’AVREBBERO PENSATO?” CHIESI.

“NON SIAMO GLI UNICI DRAGHI DI QUESTO MONDO.”

“LO SAPPIAMO”, DISSE NICOL. “CI SONO PALLADIA-MORS E CHROMIUM RHUELL. LI ABBIAMO INCONTRATI ENTRAMBI.”

“E LA BANDA DI VAEVICTIS. SONO UN BEL GRUPPO DI DEPREDATORI. ED ALTRI LI AFFIANCANO, ALCUNI SOLI E ALTRI IN GRUPPO. IO PROTEGGO GLI UMANI DAGLI ALTRI DRAGHI CHE VAGANO PER QUESTE TERRE. MA STO ANCHE INSEGNANDO LORO UN MIGLIOR PERCORSO DI VITA, UNO CHE NON SIA GUIDATO SOLAMENTE DALLE LORO TENDENZE PRIMITIVE E VIOLENTE.”

“PERCHÉ TI INTERESSANO GLI UMANI?”, CHIESE NICOL. “UCCISERO UNA NOSTRA SORELLA, QUANDO CADEMMO LA PRIMA VOLTA.”

ARCADES MISE LE SUE ALI IN UNA POSIZIONE DI ACCETTAZIONE. “QUESTA LOTTA È IL CICLO DELLA VITA E DELLA MORTE, NON È VERO? ANCHE GLI UMANI HANNO DIRITTO DI VIVERE, PROPRIO COME NOI.”

NICOL PIEGÒ I SUOI ARTIGLI, MA NON DISSE NULLA. AVEVO CAPITO CHE QUESTO SFORZO GLI ERA COSTATO MOLTO. MA FORSE STAVA IMPARANDO A CALMARSI E A PENSARE DI PIÙ.

ARCADES NON CONOSCEVA NICOL QUANTO ME, QUINDI CONTINUÒ A PARLARE, NON AVENDO NOTATO LO SCATTO DI RABBIA DI MIO FRATELLO. “GLI UMANI SONO CREATURE INTERESSANTI. AL CONTRARIO DELLA NOSTRA SPECIE, ESSI LAVORANO INSIEME. VOLETE VENIRE A VEDERE? POTRETE FARE VISITA PER UN PO’ DI TEMPO COME MIEI ILLUSTRI OSPITI, A CONDIZIONE DI SEGUIRE LE REGOLE DI LEGGE E ORDINE CHE HO STABILITO IN QUESTA COLONIA.”

NICOL MI GUARDÒ. “MI PIACEREBBE”, DISSE, CON UN TONO FREDDO E PIATTO.

MI COMPIACQUE IL FATTO CHE AVESSE FATTO UNA SCELTA RAGIONEVOLE. PENSAVO DI CONOSCERLO FINO IN FONDO, MA NON SAPEVO ANCORA COS’ERA IN GRADO DI FARE.

QUINDI, FU IN QUEL MOMENTO CHE ACCOMPAGNAMMO ARCADES NUOVAMENTE IN CITTÀ. CI FECE CONOSCERE ALLA POPOLAZIONE, E TUTTI CI ACCOLSERO CON RIVERENZA E RISPETTO, ANCHE SE FORSE NON CON LA STESSA RIVERENZA E RISPETTO MOSTRATA VERSO ARCADES, CHE LORO CHIAMAVANO “SIGNORE DEI DRAGHI”.

SOGGIORNAMMO IN QUELLA CITTÀ PER SVARIATI ANNI. OSSERVAMMO GLI UMANI RECLAMARE NUOVI TERRITORI ERIGENDO ALTRE MURA, L’AUMENTO DEGLI ABITANTI PER VIA DELLE NASCITE, LA COSTRUZIONE DI NUOVE CASE E LA BONIFICA DI NUOVI CAMPI, L’ARRIVO IN CITTÀ DI CAROVANE PROVENIENTI DA LUOGHI LONTANI. FICCAVO IL MUSO DAPPERTUTTO, E STRINSI UNA PARTICOLARE AMICIZIA CON UNA VECCHIA ANZIANA SACRA DI NOME TE JU KI, IL CUI UNICO SCOPO DELLA VITA, APPARENTEMENTE, ERA PONDERARE SU COSE CHE NON POTEVANO ESSERE VISTE. VIVEVA DA SOLA IN UNA STANZA ROTONDA CON LE MURA FORMATE DA LASTRE DI PIETRA. COME LA PIETRA, ANCHE LEI ERA DURA E ASCIUTTA. NONOSTANTE AVESSE GLI ARTI AVVIZZITI E IL CORPO FRAGILE, LA SUA MENTE ERA AFFILATA QUANTO L’OSSIDIANA.

NICOL NON AVEVA PAZIENZA NEI CONFRONTI DEL SUO MODO DI VIVERE IL MONDO SENZA BENI MATERIALI: LUI AVREBBE VOLUTO IL RUOLO DI ARCADES, A GUIDARE E CONSIGLIARE LE PERSONE. NICOL SI RESE UTILE IN CENTINAIA DI MODI, SCAVANDO IN OGNI DIRAMAZIONE DELLA VITA E DELLE EMOZIONI UMANE. MA L’AVARIZIA, L’ECCITAZIONE, L’ANSIETÀ E LA COMPETITIVITÀ DEGLI UMANI MI STANCAVA QUANDO STAVO TROPPO IN LORO COMPAGNIA, QUINDI LA SOLITUDINE DEL MODO DI VIVERE DI TE JU KI MI ATTIRAVA. ASSIMILAVO LA CALMA SAGGEZZA CHE LEI EMANAVA.

PASSAVAMO GIORNI INTERI IN SILENZIO, ENTRAMBI SEDUTI NELLA SUA STANZA CIRCOLARE. IL SUO TETTO ERA STATO SFONDATO MOLTO TEMPO PRIMA, E UNA VOLTA MI INFORMÒ DEL FATTO CHE UN TEMPO QUELLA TORRE MEZZA CROLLATA ERA UN ARTEFATTO DEI COSTRUTTORI CHE AVEVANO VISSUTO IN QUEL LUOGO PRIMA DELLE PERSONE CHE ATTUALMENTE LO POPOLAVANO.

“NOI NON SIAMO I PRIMI, E NON SAREMO GLI ULTIMI”, DISSE LEI. “VEDIAMO SOLAMENTE LA MANO DI FRONTE AL NOSTRO VOLTO, MA CI SONO STATE MOLTE MANI QUI PRIMA DI NOI, E NE VERRANNO ALTRE IN FUTURO. ANCHE QUESTO MONDO È SOLAMENTE UNO STRATO IN MEZZO A TANTI ALTRI.”

CONOSCEVA MOLTI SCHEMI CHE AIUTAVANO NELLA MEDITAZIONE, MA MI PIACEVA DI PIÙ QUANDO FACEVA GIRARE IN ARIA I GLOBI DI LUCE. DEI FILI TRASLUCIDI DI MAGIA LEGAVANO CIASCUN GLOBO AGLI ALTRI COSÌ CHE, MENTRE SI MUOVEVANO IN ARIA, RIMANEVANO SEPARATI, EPPURE COLLEGATI DA DELLE CONNESSIONI TROPPO MISTERIOSE PER ME PERCHÉ LE COMPRENDESSI APPIENO. LEI CHIAMAVA CIASCUNO DI QUESTI GLOBI UN “PIANO”, ANCHE SE NON SAPEVO A COSA SI RIFERISSE CON QUELLA PAROLA AL TEMPO. QUANDO LE CHIESI SE I GLOBI FOSSERO UN ESPERIMENTO DI PENSIERO O SE ESISTESSERO VERAMENTE, LEI RISPOSE CHE NON AVEVA IMPORTANZA PERCHÉ NESSUN ESSERE FISICO POTEVA MUOVERSI TRA I PIANI. MA A ME NON INTERESSAVA. IL MODO IN CUI I GLOBI LUCENTI SI INTERLACCIAVANO E SI MUOVEVANO ATTORNO AGLI ALTRI MI AFFASCINAVA QUANTO LA SAGGEZZA CHE L’ANZIANA TRASMETTEVA IN QUELLA SUA RAUCA VOCE SUSSURRANTE.

“OGNI COSA VIVA È INTERCONNESSA. TUTTO CIÒ CHE MUORE VIENE CONSUMATO DA QUALCOS’ALTRO, DA UN ALTRO ANIMALE O DALLA DECOMPOSIZIONE. IN QUESTO MARCIO SI NASCONDE IL NUCLEO DELLA NUOVA VITA, POICHÉ RITORNA NEL MONDO QUANDO I SEMI METTONO RADICI E CRESCONO. NON ESISTE UNA FINE, MA SOLTANTO INFINITI CICLI DI TRASFORMAZIONE.”

“TU MORIRAI, UN GIORNO.”

“SÌ.”

“E LA COSA NON TI SPAVENTA?”

“LA MIA ESSENZA CONTINUERÀ AD ESISTERE IN ALTRE FORME. FRAMMENTI DEL MIO ESSERE SI TRASFORMERANNO IN NUOVE ED INCREDIBILI ENTITÀ CON I PROPRI VIAGGI DA COMPIERE. COME PUÒ ESSERE SPAVENTOSO?”

“A ME SEMBRA SPAVENTOSO. I DRAGHI MUOIONO?”

“TUTTE LE COSE HANNO UNA FINE. TALVOLTA NON È LA MORTE. VUOI CHE TI INSEGNI COME CREARE I GLOBI E FARLI RUOTARE? È UN ESERCIZIO PER CALMARE LA MENTE.”

LO VOLEVO. OH, SE LO VOLEVO. MA ERA UN COMPITO DIFFICILE, E NON ERO DI VELOCE APPRENDIMENTO.

UN GIORNO, MENTRE ERO SEDUTO AL SOLE, INTENTO A MANIFESTARE UN SINGOLO GLOBO DI LUCE SOPRA LA MIA ZAMPA ANTERIORE, ESAGERATAMENTE ORGOGLIOSO DEL MIO PICCOLO SUCCESSO, MI GIUNSE ALLE ORECCHIE UN TERRIBILE TUMULTO DI URLA E GRIDA DALLA DIREZIONE DEI MAGAZZINI DEL PALAZZO. SOTTO IL REGNO DI ARCADES SABBOTH, IL REAME ERA IN PACE E IN ORDINE, QUINDI LE URLA DI PAURA E POSSENTE AGONIA SI FECERO PRESTO STRADA NEL CALMO POMERIGGIO.

LE MIE SCAGLIE PUNGEVANO COME SE FOSSERO STATE COLPITE DA CENTINAIA DI FRECCE: NULLA CHE MI FERISSE, MA CHE ERA IN GRADO DI ALLERTARMI. STAVA SUCCEDENDO QUALCOSA. QUALCOSA DI BRUTTO.

IL GLOBO SI DISSOLSE CON UN PICCOLO SCOPPIO, CHE SI TRASFORMÒ IN UNA NUVOLA DI LUCE, PRESTO FATTA DISPERDERE DA UNA RAFFICA DI VENTO. VELOCEMENTE, MI FECI STRADA VERSO IL CORTILE DI FRONTE AI MAGAZZINI, UN LUOGO DOVE I CARRI, LE CAROVANE E I CAVALLI DA CARICO POTEVANO CARICARE E SCARICARE LE MERCI. DEL SANGUE MACCHIAVA LA PAVIMENTAZIONE DEL CORTILE. UN UOMO ERA IN GINOCCHIO SULLE PIETRE. UN COLTELLO INSANGUINATO CONFICCATO NEL PETTO DI UN ALTRO UOMO RACCONTAVA LA RACCAPRICCIANTE STORIA DI UN VIOLENTO ASSASSINIO. LE GUARDIE DEL PALAZZO CIRCONDARONO L’ASSASSINO, CHE FISSAVA DISORIENTATO LE SUE MANI INSANGUINATE.

“MA QUELLO È MIO FRATELLO. COM’È POTUTO SUCCEDERE? CHI L’HA ACCOLTELLATO?”

I TESTIMONI SI AFFOLLARONO DAVANTI. “TI SEI RIVOLTATO CONTRO DI LUI. GLI HAI URLATO CHE STAVA RUBANDO IL TUO DIRITTO DI NASCITA E CHE VOLEVA IMBROGLIARTI. POI HAI TIRATO FUORI IL COLTELLO E L’HAI PUGNALATO.”

LA SUA VOCE ERA AFONA E PERSA. “MA QUELLA DISPUTA TRA DI NOI ERA STATA SISTEMATA ANNI FA QUANDO I NOSTRI GENITORI CI DIEDERO L’ATTIVITÀ DI TRASPORTO DA GESTIRE INSIEME…” SCOSSE RIPETUTAMENTE LA TESTA, COME PER FAR USCIRE UN VERME NOCIVO CHE STAVA SCAVANDO DENTRO DI LUI. “NON ABBIAMO PIÙ LITIGATO DOPO QUELLA DECISIONE, NEMMENO UNA VOLTA.”

LE SUE ERANO PAROLE VUOTE, DATE LE PROVE DEL CRIMINE.

LE GUARDIE LO PORTARONO VIA. MENTRE UN AMMINISTRATORE ORDINAVA CHE IL CORPO VENISSE RIMOSSO ED IL SANGUE LAVATO DALLE PIETRE, ALZAI GLI OCCHI VERSO IL TETTO DI UNO DEGLI EDIFICI VICINI. NICOL INCOMBEVA DA LÌ, SPORTO SUL BORDO AD OSSERVARE LA SCENA CON SGUARDO AVIDO.

“CHE COS’HAI FATTO?”, GLI CHIESI IN LINGUA DRACONICA.

“CHE COS’HO FATTO? NON MI SONO MOSSO DA QUI.”

“SEI RIMASTO LÌ E HAI LASCIATO CHE ACCADESSE? SARESTI POTUTO INTERVENIRE.”

UN GHIGNO DI SODDISFAZIONE SOLCÒ IL SUO VISO. “E SE L’AVESSI FATTO?”

LA SENSAZIONE DI PIZZICORIO AUMENTÒ. “COSA SIGNIFICA? CHE COS’HAI FATTO, NICOL?”

“HO SCOPERTO UN MODO MIGLIORE PER OTTENERE VENDETTA. VIENI CON ME O VUOI STARE CON LA TUA SAGGIA DALLA BOCCA FARINOSA ED I SUOI BLANDI STRACCI DI SAGGEZZA?”

“VENIRE DOVE?”

“VADO A VENDICARE NOSTRA SORELLA, COME AVREMMO DOVUTO FARE MOLTO TEMPO FA.”

APRÌ LE SUE ALI E, SENZA NEMMENO DARE I DOVUTI SALUTI A NOSTRO FRATELLO, VOLÒ VIA COSÌ VELOCEMENTE CHE LO PERSI DI VISTA PRIMA DI COMPRENDERE VERAMENTE CHE AVEVA DECISO DI LASCIARSI TUTTO ALLE SPALLE. MI AFFRETTAI A TROVARE NOSTRO FRATELLO.

“UN MAGISTRATO ESAMINERÀ IL CASO E PROCLAMERÀ UN VERDETTO. NON VERRÀ NEMMENO PORTATO ALLA MIA ATTENZIONE. NON C’È BISOGNO CHE TE NE PREOCCUPI, UGIN. PUOI TORNARE AI TUOI STUDI.” MI DISSE, QUANDO LO TROVAI.

“MA NON TROVI CHE SIA STRANO CHE I DUE FRATELLI ABBIANO LAVORATO IN PACE PER ANNI E POI, IMPROVVISAMENTE, SIA SUCCESSO QUESTO?”

“GLI UMANI HANNO QUESTI PROBLEMI”, MI SPIEGÒ, TENDENZIOSAMENTE. “SI TENGONO DENTRO LE EMOZIONI PER ANNI, POI UNA SCINTILLA SI ACCENDE, ED ESPLODONO. È SUCCESSO IN PASSATO, E SUCCEDERÀ ANCORA.”

NONOSTANTE TUTTO, IL MIO CUORE RIMASE TURBATO.

“DI COSA HAI PAURA?” MI CHIESE TE JU KI AL TRAMONTO, QUANDO TORNAI ALLA SUA STANZA SENZA TETTO.

“NON LO SO. MA IL MIO CUORE NON MI DÀ PACE.”

“NON PUOI CONTINUARE I TUOI STUDI IN QUESTO STATO, UGIN. MI DISPIACE. FORSE HAI BISOGNO DI UN PO’ DI TEMPO LONTANO DA QUI.”

CONTINUAVO A PENSARE A NICOL CHE VOLAVA VIA. VADO A VENDICARE NOSTRA SORELLA.

“SO DOVE STA ANDANDO. DEVO SEGUIRLO.”

“IL TUO VIAGGIO HA UN SENTIERO SOLO PER TE, UGIN. CHE TU POSSA TROVARE CIÒ CHE CERCHI.”

NON VOLEVO ANDARMENE, MA DOVEVO SEGUIRLO. ERA ACCADUTO QUALCOSA DI IMPORTANTISSIMO. MI FECE PENSARE ALLA SITUAZIONE IN CUI SI È IN PIEDI SUL LETTO ASCIUTTO DI UN FIUME NEL DESERTO, QUANDO DELLE NUVOLE DI ACQUAZZONE SCURISCONO LE COLLINE IN LONTANANZA. LE ACQUE ALLUVIONALI STANNO ARRIVANDO ANCHE SE ANCORA NON RIESCI A VEDERLE.

“Giù! Trovate un riparo!” gridò Fec. “Lo ha inseguito attraverso l’erba!”

Un forte fruscio, simile al suono della pioggia, si dirigeva verso di loro, nonostante il cielo fosse limpido. Gli avvoltoi si lanciarono in volo in un frenetico impeto d’ali.

Un’ombra si stagliò su di loro, mentre la testa di un drago ed il suo collo sinuoso spuntarono dall’affioramento. Era una creatura sorprendentemente bella, con le scaglie di un pallido grigio-bianco macchiate di blu. Una cresta blu scura si alzava dal centro della sua testa in mezzo a due corna lunghe ed eleganti. Il suo sguardo li aveva individuati, uno per uno, per poi ignorarli, uno per uno, con un riflesso di intelligenza, completamente diversa dalla feroce fame dei cornuti discendenti di Atarka. Poi la creatura vide il giovane uomo ancora seduto sul terreno. Il drago sibilò, con fili di foschia fredda e nebbiosa che fuoriuscivano dalle narici.

Tae Jin si mise subito in piedi, premendo gli avambracci l’uno contro l’altro in una forma di supplica. Era quindi tutta una trappola? Aveva consegnato Nonna ad uno dei discendenti di Ojutai?

Un grande uccello volò dalle spalle del drago e atterrò sull’affioramento. Non era un uccello, ma un aviano, che vestiva una veste elaborata che penzolava fin quasi ai suoi piedi artigliati. La sua testa era sormontata da una cresta e da delle lunghe corna simili a quelle del drago che serviva.

logoQuando il discendente parlò con un rimbombo crepitante in draconico, l’aviano tradusse.

“Tae Jin, per ordine del Gran Maestro, sei accusato del crimine di sacrilegio e condannato alla morte per ghiaccio. Sarà mio piacere e onore ucciderti.”

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Commenti  

 
#2 !v4n 2018-09-25 14:45
Ciao a tutti,
non riesco a trovare l'episodio successivo. Qualcuno sa dove si possa trovare?
 
 
#1 Christopher666 2018-07-30 20:49
Grandissima iniziativa, inconcepibile che wizard non investa ventimila lire per tradurre queste storielle che erano gradite dalla totalità dei giocatori. Tanto di cappello per la sbatta ed il tempo, è sempre un piacere leggersele in italiano piuttosto che in originale. Per curiosità, ho visto che di dominaria era stato tradotto solo il primo episodio, poi non si era proseguito. Si conta di proseguire anche quella storia? Grazie