Junius Halsey ha scritto:È molto interessante questo ambito, recentemente lo sto studiando in campo morale. È interessante osservare che solitamente noi non partiamo dal simbolo ma da una definizione: prendiamo l'idea di qualcosa di singolare, separato da ciò che ha intorno, dalla nostra esperienza quotidiana, lo concettualizziamo rimuovendo ogni proprietà a parte essere singolare, e lo chiamiamo "uno". In base a questa definizione, uno più uno uguale due, ovviamente a patto di definire più e due allo stesso modo. Cosa non scontata, ma che culturalmente abbiamo fatto. Assegnamo un nome a un'idea su cui concordiamo, piuttosto che analizzare concetti arbitrari. Se prendi il simbolo e ne questioni il significato, corri il rischio di mettere in dubbio lo stesso testo scritto o espressione linguistica con cui lo stai mettendo in dubbio.
Interessante perché tu stai facendo un po’ il contrario di quello a cui penso io: parti dalla realtà empirica e, con un metodo approssimante stile forcing, in un certo senso “definisci” il numero 1 come l’entutà astratta che ti sta a rappresentare l’essere singolare, cosí da poter dire “un albero”, “un sasso”, “un troll”. Invece, forse viziato da anni di studi matematici, io tendo a pensare al numero 1 come all’oggetto reale, astratto, inconfondibile, e alle sue varie manifestazioni empiriche soltanto come, appunto, a delle manifestazioni che non corrispondono alla realtà. Io non vedrò mai il numero 1 nella mia vita, ma so che è reale e anzi, a me sembra piú reale anche di un albero.
Junius Halsey ha scritto:Inoltre sarei curioso di sapere come la pensi sul concetto di verità assoluta: intendi una verità che rimanga tale indipendentemente dal contesto? Perché c'è davvero pochissimo che segua questo paradigma, siamo costretti a tornare al cogito cartesiano e al problema del solipsismo forte: non sappiamo nemmeno se c'è un dio maligno che si diverte a tenerci nel Matrix. Ma questo non importa a mio parere, perché il mondo in cui viviamo è questo, e i calcoli matematici ci servono per fini pratici in questa realtà. È più adatto utilizzare una definizione di 'massimo grado di verità', che mostri come, secondo il linguaggio su cui tacitamente concordiamo, e a patto che la realtà che sperimentiamo sia condivisa (non necessariamente reale, ma condivisa), allora 1+1=2.
Oh be’ per me una verità assoluta è sinonimo di tautologia. Cioè qualcosa che è vero sempre, indipendentemente dalle interpretazioni. “Il numero 1 è il numero 1”, o —a patto di accettare “=“ come simbolo di eguaglianza— “1=1” è una tautologia, una verità assoluta. Ma che da 1+1 debba, in qualche modo, uscire fuori un 2, posso accettarlo come vero nell’aritmetica cardinale o nell’analisi reale, tuttavia in un classicissimo campo finito non è piú vero. Se non sai cosa sono i campi finiti, pensa all’orologio: se adesso sono le 11, che ore saranno tra 20 ore? Le 31, oppure le 7? Il discorso è analogo.
Sul massimo grado di verità, sono d’accordo con te, ma non dobbiamo confondere le verità assolute (o tautologie) dagli assiomi. Io sono dell’idea che gli assiomi non siano tautologici, siano fatti che sembrano veri e che noi accettiamo come veri proprio per puntare ad un “massimo grado di verità” come dici tu e come dice Penelope Maddy, che tu da filosofo certamente conosci meglio di me.
Junius Halsey ha scritto:Il problema con Al è che non concordiamo sulle definizioni di' forte' e di 'test', ma nemmeno su un codice comunicativo.
Apprezzo molto queste conversazioni. Altro tè?
Oh, credo che la discussione sia salita ad un livello superiore rispetto a qualche litigio sugli equipaggiamenti con un discendente di Amaltea. Per me del mate, grazie